di Alessandro Squizzato

[Dal 30 ottobre al 3 novembre si è tenuto a Trieste il festival della fantascienza. Alessandro Squizzato ne ha scritto per Il Corsaro. Vi riproponiamo il suo reportage della quarta giornata]
Penultima giornata al Trieste Science+Fiction festival, oggi come nelle giornate precedenti la quantità di avventori, accreditati e “occasionali”, è davvero confortante per gli appassionati di genere. Sale piene, pubblico partecipe, altri film.
La mattina passa con la seconda tranche di incontri di futurologia: fantascienza e teatro, genetica, produzione italiana.
Primo pomeriggio affollato, ma la maggiore attenzione va Gabriele
Salvatores che in questi giorni è a Trieste, al porto vecchio, per
girare un nuovo film di orientamento fantasy che si intitolerà Invisible Boy. Proiettati al teatro Miela Nirvana (1997) e Sogno di una notte d’estate (1983).
Film in concorso. Upstream color
(USA, Shane Carruth), film “metafisico” dove la protagonista viene
risucchiata nel ciclo vitale di un organismo senza tempo, che vive nel
mondo microscopico. Un lavoro sul tema dell’identità su cui l’autore ha
fatto evidentemente una grande attenzione alla costruzione di
significati.
Robot & Frank (USA, Jake Schreier) film dell’anno scorso,
già premiato al Sundance Festival, conquista la sala con la stessa
cinica spietatezza di un cesto di gattini.
Commedia drammatica che gioca con la robotica (una punta di Asimov e
molto degli attuali robot umanoidi prodotti in Giappone), in un futuro
prossimo, che si basa su pochi elementi semplicissimi usati
magnificamente.
Frank Langella (Wall Street – Il denaro non dorme mai, Frost/Nixon, Superman Returns, La nona porta…)
è un ex scassinatore “in pensione” e ai primi stadi dell’Alzheimer. Il
figlio gli mette in casa un robot-badante. E a partire da questo gli
sviluppi sono quasi naturali. Buona parte della riuscita del film si
basa sulla brillantezza dei dialoghi, scritti con un umorismo ammiccante
ma sottile, con tempi comici perfetti e sulla prova straordinaria di
Langella che sostanzialmente tiene la scena per un’ora e mezza parlando
con un pezzo di plastica. L’effetto del robot, spiegato nel
dopo-proiezione dal regista, è da primordi del cinema: un costume con
all’interno un operatore…in costante rischio di asfissia.
Un po’ di spazio al ragionamento con un piccolo gioco di incastri
concettuali sul tema della memoria e di come questa possa coincidere con
il nostro essere una persona.
La sala lo segue, si fa portare a spasso con facilità per tutte le scene e spesso si sfoga in applausi.
Presente in sala, con il sorriso compiaciuto della persona acuta che sa di aver fatto un bel numero, il regista Jake Schreier.
Di poche parola, esordisce con “non ho molto da dire, è tutto nel film”,
ed onestamente è lo stato in cui si lascia la sala. Non è un film che
apre grandi dibattiti, eppure riesce ad accalappiare e sicuramente
potrebbe ripagare una grande distribuzione.
Seconda serata dedicata di nuovo all’horror con una produzione austriaca girata in Sud Tirolo: The station
(Austria, Marvin Kren). Disaster-horror ligio ai canoni di genere, che
brilla per qualche sprazzo di originalità. La location: una pietraia
d’alta montagna, ambiente quasi lunare. La bontà della recitazione e dei
personaggi: sopra le righe, divertenti, con interazioni che spesso
strappano la risata. I mostri, in genere degli ibridi tra animali di
montagna e insetti, sono abbastanza creativi ma un po’ ambiziosi per una
piccola produzione. E infatti la resa è quasi sempre un po’ macchinosa
e deludente, con i soliti movimenti di macchina utili a confondere la
vista. Finale assurdo di routine e applausi: non è stata fatta la storia
ma è stato aggiunto al cesto dei filmacci da vedere con gli amici un
ottimo elemento.
Ultima giornata domani (ndr., il 3 novembre per chi legge), in cui arriverà l’attesissimo film d’animazione Rio 2096 e la cerimonia di premiazione.